Articoli pubblicati di Elisa Mauro

Paul Gurvitz
Rated

Revisted Records - SPV - 2005

Hard-rock ? Paul Gurvitz ? Rated ? C'è un ossimoro di troppo, dissonanze che, con sommo dispiacere, non possono convergere, se a parlare è l'ultimo album di uno fra i bassisti più celebri della scuola degli anni più tumultuosi e fastidiosi della storia canonica e per bene. Alla fine degli anni sessanta, Paul Gurvitz decide di fondare un gruppo, battezzato con il nome Gun, noto al grande pubblico, quando a cantare vi era un certo Ian Anderson. Dopo solo due album di musica hard- rock e blues, il bassista inglese, con il supporto del fratello Adrian, ripropone al mercato musicale dell'epoca una nuova formazione di musicisti, ora, pronti a nuotare anche controcorrente nel mare magno di nuove proposte e ri-proposte. Questa volta nascono i Three Man Army, con la presenza di Tony Newman alla batteria, che (dopo solo tre album) decide di cambiare rotta e intraprendere la carriera solista. E allora, niente pare migliore, se non ricomporre una nuova boy-band, pardon, hard-rock band, in grado di carpire i desideri e i gusti musicali di migliaia di giovani che urlano contro le armi. Sorgono, nel 1974, i Baker Gurvitz Army, a cui aderiscono il batterista dei Cream, Ginger Baker e il vocalist Snips. Anche questa volta solo tre album. Paul comincia a comportarsi come un amante dispettoso, che compiace, tace e scompare. Fin qui tutto chiaro. Nel 2005 esce Rated, album, contro il quale, se fosse stato firmato dai Take That, avremmo, di certo, puntato il nostro bel dito elitario. Ma no, è di Paul Gurvitz e quindi tutti noi abbassiamo la testa e giriamo le spalle, come a non voler capire che ad un certo punto la nostra mente perde il controllo di se stessa, soprattutto quando l'età avanza. Perdonato nel primo brano Give me a sign dove si rincorrono melodie già conosciute, ma che non ricordiamo…o che non vogliamo ricordare, tralasciato il secondo per la voglia di non voler infierire, spostiamo l'udito a Made in Heaven, dove tutto è stato progettato in paradiso, tranne questo pezzo. Save the last dance for me è una canzoncina picchiata da una batteria a "schiaffo" degna delle migliori tastiere Bontempi. Però If you can't be the woman, blues e sanguinante, riscatta la raccolta di ballate in questione, soprattutto per l'oggettiva interpretazione vocale, meritevole di essere ascoltata per più di qualche volta (e non oltre) nell'arco di un'intera vita. Paul, we love you!

Pubblicato su Musikbox, rivista di cultura musicale e guida ragionata al collezionismo

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